La questione abitativa: rilanciare politiche pubbliche e dare valore sociale al patrimonio

L’emergenza abitativa è uno dei drammi più gravi della nostra città, con migliaia di senza casa e al contempo sfratti, sgomberi, azioni disperate o organizzate di resistenza a quello che è uno stillicidio tanto quotidiano quanto disumano. Poiché le politiche della casa sono state tra le grandi assenti degli ultimi decenni, occorre definirle e collocarle con estrema urgenza nell’agenda politica. Al proposito sono misure indispensabili:

  • l’assistenza dignitosa al crescente numero di senza casa;
  • il contrasto agli sfratti, includendo quelli per morosità figli della crisi economica;
  • la moratoria completa degli sfratti riguardanti le case degli Enti ex previdenziali;
  • il superamento del fenomeno delle occupazioni socio-abitative, solitamente riguardanti luoghi inidonei ed arrangiati in modo precario, attraverso progetti specifici di riuso ad interesse pubblico prevalente, previsti e finanziati dalla Delibera regionale sull’emergenza abitativa;
  • l’utilizzo del patrimonio pubblico a fini abitativi, in luogo della svendita;
  • la realizzazione di nuove abitazioni di edilizia pubblica, a canone sociale e concordato e di un complessivo Piano per l’Abitare;
  • un’azione pubblica di regolamentazione e mobilitazione del mercato degli affitti;
  • il sostegno a progetti di autorecupero del patrimonio pubblico, iniziando col concludere quello ancora bloccato di Via Grottaperfetta;
  • un migliore utilizzo delle case di edilizia pubblica (Ater e Roma Capitale), presenti in gran quantità nel territorio, da destinare integralmente ai nuclei bisognosi.

L’intero patrimonio comunale, un enorme ed incerto elenco di beni di natura immobiliare di cui non si conosce esattamente né la consistenza né lo stato effettivo, va avviato a riutilizzo, ottimizzato e in parte riconvertito a scopo abitativo, non svenduto. Ad esso va aggiunta quella quota consistente di immobili invenduti di proprietà privata che dopo essere stati realizzati giacciono inutilizzati e che, se messe in uso tramite accordi pubblico-privato, possono alleviare alcune delle sofferenze cittadine.

Al contrario, tutti quegli immobili pubblici e privati che sono stati di fatto valorizzati come Beni Comuni a scopi sociali, culturali e ricreativi, vanno riconosciuti formalmente ai protagonisti  delle azioni di recupero dal basso ed autogestione.